Dover scegliere soltanto dieci tra le decine di capolavori scritti da Lucio Battisti, eccola l’operazione impossibile. Come se per far giustizia tra tanta bellezza bastasse un anniversario qualsiasi: appena scegli una canzone, un’altra spunta da sotto il foglio; ti segni un titolo e subito si apre un’altra pagina, si solleva un altro ricordo, balena un’altra atmosfera. E ad ogni brano riemerge un verso memorabile di Mogol o un gioco di specchi di Pasquale Panella.
Un’avventura
E’ il 1969 e per la sua epifania artistica Battisti sceglie il palco del Festival di Sanremo. Porta così nel tempio della canzone un brano rhythm’n’blues. E’ una dichiarazione di intenti. Lucio si presenta: questo sono io, questa è la mia idea di melodia e di armonia, per me la canzone è una tela bianca su sui posso far suonare tutti i colori che voglio, prendendoli dove mi va. E così al Festival urlano le trombe del soul. Sarà amore per sempre, non un’avventura.
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29 settembre
Il suo primo brano a raggiungere il successo in classifica. Battisti la scrisse per l’Equipe 84 nel 1967. La interpretò due anni dopo nell’album in cui si presentava come interprete delle sue canzoni, lo stesso disco di Un’avventura. Un must della psichedelia italiana, l’avvio del beat con la trovata della voce del telegiornale, in apertura e in chiusura, che racchiude in una giornata la cronaca di un tradimento.
I giardini di marzo
Tutto il contrario di ciò che nel 1972 ci si sarebbe aspettati da una canzone pop: l’inizio dimesso, il tono di una confessione, la mente e i suoi tarli, i problemi economici di una coppia, la forza di un sentimento e il coraggio di vivere che ancora non c’è. Mogol scrive della sua infanzia ma la canzone diventa un modello per la canzone d’amore. Magia del pop.
Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi
Dallo stesso album del 1972, Il mio canto libero, l’esempio migliore della perfezione di risultato del connubio con Mogol: testo e musica, melodia e armonia, descrivono in modo esemplare un sentimento, prima l’incertezza e l’esitazione e poi l’abbandono nelle braccia della persona amata.
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Il nostro caro angelo
E’ il 1973 e in un anno sembra trascorso un secolo. Lucio ha già cominciato a prendere a spallate le mura della forma canzone. Nell’album omonimo, Il nostro caro angelo è una delle poche tracce a mantenere una parvenza di “canzone”, una perla di melodia sostenuta dalla chitarra acustica e dal basso. Aspetti inutilmente il ritornello e invece ecco solo un break psichedelico, poi si torna nel giro melodico e percussivo che conduce le danze fino alla fine. Una meraviglia.
Due mondi
E’ il 1974 e Lucio ha continuato a sperimentare nel suono, ora utilizza sempre più spesso l’elettronica ma guardando sempre più alle musiche del mondo. L’album Anima Latina è il prodotto del suo laboratorio e in Due mondi ci sono la psichedelia e il progressive, la musica sudamericana e un nuovo uso della melodia, che trascende qualsiasi vecchia regola strutturale.
Con il nastro rosa
Il destino vincente degli underdog. In origine sul lato B del 45 giri di Una giornata uggiosa, la canzone diventerà quella di maggior successo nel 1980. In Con il nastro rosa c’è la cura degli arrangiamenti e il suono della chitarra di Phil Palmer che offre un assolo memorabile, e c’è la frase di Mogol “lo scopriremo solo vivendo” diventata proverbiale.
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Prendila così
Jazz pop con un arrangiamento orchestrale incredibile, di assoluto livello internazionale: una delle più belle canzoni italiane, non solo di Battisti.
Allontanando e L’apparenza
1988, nel secondo dei cinque album bianchi scritti con Pasquale Panella. Qui si comincia a fare sul serio: Battisti suona ogni cosa, è ancora analogico tra pelli di batteria e pianoforte, compone musicando i testi che Panella gli consegna bell’e fatti. Diversamente che con Mogol, qui tocca a lui di trovare le sonorità più adatte per i giochi di parole e le descrizioni del suo autore preferito. Della vecchia canzone non resta più nulla: il suono, quello delle parole compreso, suscita emozione anche quando non sai più spiegarti il perché: “E poi di che parliamo? Trasvola sopra l’ultima papilla la farfalla e la lingua la spilla”.
Tu non ti pungi più e I ritorni
È la svolta elettronica, Battisti diventa improvvisamente digitale, studia e si applica alle macchine e ai computer portando a compimento la trasformazione della canzone che ora può vivere magnificamente compiuta in se stessa. Tutto vi si tiene, perfettamente coerente, e ogni brano è da osservare come un Aleph.
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