Alla fine entrarono nei centri abitati, attaccando anche i giardini e gli orti. Era la primavera dell’anno scorso, e le cavallette che da tre anni devastavano il centro della Sardegna erano diventate quattro miliardi. Nel 2019, quando comparvero per la prima volta, non superavano le poche centinaia di migliaia e il territorio su cui si muovevano era di duemila ettari. Ma ecco che nel 2021 era salito a sessantamila e i danni per gli allevatori erano svettati a numeri drammatici: fino al novanta per cento delle coltivazioni distrutte, in gran parte foraggio e granelle che per la maggior parte servono a nutrire pecore e bovini. Quest’anno è ormai certo che per intercettare i focolai interverrà addirittura l’esercito – con tanto di droni.
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Dal paesino nel nuorese di Ottana in cui le cavallette erano apparse per la prima volta, si erano poi spinte fino alle province di Sassari e Oristano, “conquistando” ben 28 comuni. Soltanto allora si è capito che il problema era davvero grave. L’assessorato all’Agricoltura, che fino a quel momento si era limitato a monitorare e a promettere “ristori”, ha deciso di intervenire.
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Per debellare l’invasione sono entrati in gioco specialisti ed entomologi, come il celebre studioso dal curriculum sontuoso Alexandre Latchininsky dell’Università del Wyoming, consulente della Fao, considerato il più grande esperto mondiale del fenomeno. Arrivato in Sardegna ha studiato il terreno delle zone colpite. Ha caratteristiche microecologiche sui generis: colline che a furia di essere sfruttate per i pascoli hanno perso produttività e sono diventate dure e compatte, una mecca per la deposizione delle uova (le locuste si riproducono esponenzialmente, ogni femmina ne depone mediamente cinquanta).
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Non è un fenomeno naturale. Se si percorrono a ritroso i numerosi anelli che hanno portato all’escalation, come suggerisce di fare Marcello Onorato, dirigente dell’agenzia di assistenza tecnica della Regione, la Laore, è possibile individuare una delle cause – oltre all’aumento delle temperature – da cui nasce l’invasione. L’attuale morfologia dei terreni dipende dal fatto che gli allevatori li hanno sostanzialmente abbandonati.
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Da quando? Correva appunto l’anno 2019, il prezzo del latte crollò e l’aratura dei terreni diventò per molti di loro un costo inaccettabile. Risvolti economici della storia che, ovviamente, non rientrano nel campo di studi del grande entomologo. Il quale, per tre giorni, nel dicembre scorso, ha però tenuto seminari che hanno incantato amministratori e sindaci. “Le cavallette sono un fenomeno antropico” ha spiegato tra le altre cose. “Le Dociostaurus maroccanus seguono le carovane nomadi del deserto: sulla scia dell’uomo passano loro”. Dociostaurus è il nome scientifico dell’ortottero originario del Marocco ma operativo in tutto il Medio Oriente e in Africa.
Liti ed esperimenti
Per inciso: non è la prima volta che compare in Sardegna. Un’invasione simile c’era già stata nel 1989, mentre gli annali riportano un’ecatombe memorabile del 1946, quando le locuste attaccarono un territorio di un milione e mezzo di ettari, due terzi dell’isola.
Ma al di là del passato il problema è il presente: riuscirà l’ensamble di forze messe in campo a sconfiggere le cavallette? Gli allevatori sono pessimisti, convinti che ad aspettarli sarà un’estate perfino peggiore di quelle precedenti. “Temo che i danni saranno almeno dieci volte maggiori e tra i motivi c’è proprio l’enorme ritardo degli interventi”, si arrabbia Franco Saba, sindaco di Ottana, centro dell’invasione e tra i paesi più colpiti. “Un danno incalcolabile”, rilancia Giovanni Mureddu, l’allevatore più mediatico e portavoce della categoria.
“Si sono divorate tutto”, dice indicandoci i terreni tra Ottana e Bolotana su cui si affaccia la sua casa, un paesaggio bucolico di prati e di pecore. È proprietario di quindici ettari e altri cinquanta li ha in affitto. Coltiva foraggio per i suoi animali, ma l’anno scorso le cavallette hanno distrutto quasi tutto il raccolto. “Insomma, oltre ad anticipare i soldi per la semina di quel prodotto, che poi viene distrutto dalle cavallette, ci tocca comprare il mangime che è diventato carissimo”.
E accusa l’assessorato all’Agricoltura, a cui è affidata la direzione dell’Unità di crisi, di non essere riuscito a stabilire una vera regia. Ci raccontano di riunioni burrascose tra allevatori, amministratori locali e il gotha delle istituzioni in cui il sindaco Saba ha perso il controllo e il suo collega di Sedilo, Salvatore Pes, ha sbottato contro il direttore generale dell’Assessorato che aveva proposto di appiccare il fuoco ai terreni intorno ai focolai: “Gli esperimenti, scusi, li faccia a casa sua!”.
Pes è un tipo sveglio, competentissimo grazie agli studi in agraria e al lavoro sul campo. “Non voglio sottostimare le difficoltà della lotta alle cavallette, dico però che sono stati fatti errori e tentativi a caso. E infatti i risultati, oggi, sono scarsi”. Per esempio? “Le squadre predisposte per disinfestare dovrebbero avere mezzi ad hoc come fuoristrada e strumenti adatti alla lotta alle cavallette. E invece le squadre sono poche, hanno mezzi inadeguati e hanno lavorato con temperature superiori ai trenta gradi che vanificano l’effetto della deltametrina, il pesticida utilizzato”. Altro errore: la disinfestazione è stata fatta di giorno, quando le cavallette si spostano ed è difficile raggiungerle.
Occhio alle uova
Oggi i piani su cui ci si muove per debellare le cavallette sono due: la prevenzione, per distruggere le uova prima che si schiudano, dal mese di giugno in cui vengono deposte a quello d’aprile dell’anno successivo, e la disinfestazione dopo che sono nate. La prima è a carico degli allevatori, avviene quando si ara e le uova portate in superficie sono divorate dai predatori o eliminate dalla pioggia. Ma il problema è che la maggior parte delle uova viene depositata nei terreni abbandonati e incolti.
“È da lì che si spostano nei terreni arati come il mio”, spiega Mureddu. Nelle zone non arate, quindi, non resta che aspettare la schiusa delle uova e procedere con la disinfestazione. “Ovvio che questa è tanto più efficace quanto più le neanidi sono piccole”, ci spiega Onorato.
“Le prime settimane gli ortotteri si spostano camminando al massimo per pochi metri. Ma, a mano a mano che cominciano a volare, ovviamente diventa più difficile colpirli. Pensi che, volando, arrivano a percorrere fino a quaranta chilometri per cercare cibo”. Ed è qui che nascono i problemi veri. Perché non è per nulla facile individuare i focolai in un territorio vasto come quello interessato. Occorrono molti uomini e a questo scopo Laore ha predisposto un piano di perimetrazione che divide la zona interessata in blocchi. In tutto saranno impiegati sessanta tecnici dell’agenzia regionale divisi in squadre.
Ognuna di queste si occuperà di un terreno di cinquanta ettari e trasmetterà la geolocalizzazione dei focolai alla centrale di coordinamento grazie a un’app. Ad aiutarli ci sarà appunto l’esercito con i droni. A quel punto altre squadre provvederanno alla disinfestazione. “Contiamo che con questo sistema il problema verrà se non risolto almeno molto limitato”, ci dice la geologa Francesca Fantola che ha elaborato l’applicazione.
Allarme pesticidi
Ma è a questo punto che sorge un altro problema. La legislazione italiana sui disinfestanti è molto restrittiva. La maggior parte dei prodotti non possono essere utilizzati nelle coltivazioni bio. “Abbiamo chiesto di aumentare il numero di quelli che possiamo usare”, ci spiega Arturo Cocco del dipartimento di Agraria di Sassari. Un altro problema ancora è che molti allevatori non permettono l’ingresso alle squadre per la disinfestazione.
Il motivo? Dopo che vengono spruzzati i pesticidi sono obbligati per legge a rinchiudere per quindici giorni gli animali e a nutrirli con il mangime al posto del foraggio “trattato”. Certo, il sindaco potrebbe costringerli ad “aprire” con un’ordinanza, come ha fatto Pes, ma non tutti i suoi colleghi sono d’accordo.
Insomma, eliminare le cavallette non sembrerebbe affatto un gioco da ragazzi. Sandra Belloni, ovicultrice e ortocultrice di Ottana, confida nel buon senso anche se le sue verdure di stagione l’anno scorso sono state divorate dagli ortotteri: “Hanno distrutto tutto”. Sembra, non volendo, dare ragione ai pessimisti che disegnano scenari da paura. E temono che, perché la piaga si attenui, si debba aspettare molti anni. Come nella Bibbia.
Sul Venerdì del 10 marzo